Vetrate d’alabastro (confessioni e preghiere)

LA VISITA  

 Veniva il sole

negli ermi pomeriggi autunnali

e mi teneva compagnia

nell’umida cella

amico lungamente silenzioso.

Faceva sorridere le vecchie pareti

e l’inerme cuore

si sentiva preso per mano

come da una bimba

e camminare nei campi di aprile.

Brucava lento le penombre

saliva sul tavolo

dorava i pochi libri

si posava sul bianco giaciglio.

E quando doveva partire

non sapeva risolversi a lasciarmi:

si struggeva tremante in un saluto

finché cedeva alla dolce

implacabile violenza degli astri.

Rimanevo solo

col quadrante immenso dell’orologio

sulla gialla parete di fronte.

Ore di mestizia greve

quando muore il sole

e non sono ancora fiorite le stelle.

 

PRIMANEVE 

Hai tu la dolce memoria

premente l’anima adulta

di quando la neve

la prima volta vedemmo

sulle tettoie cadere ?

C’erano i merli neri;

girellava il cane di Egisto    

lungo la siepe, annusando;

e una luna strana batteva al soffitto.

Le rame ovattate tramavano

l’aria grigia, immobili

corna di cervi imbalsamati;

il gatto faceva le fusa

presso la brace disfatta

e il breve canto dei passeri

lontano sotto i petali freddi.

Dolce nescienza non sapere

donde venisse la neve.     

 

O TENEREZZA DEL MONDO

O tenerezza del mondo

quando già l’alba schiarisce

i volti miti delle case

con le finestre ancora chiuse

sotto le girandole dei galli.

Tenerezza della buona provvidenza

che dà requie  all’ansito umano

dal suo infinito crepacuore,

mentre il canto sgocciola uguale

di un cuculo tra gli olmi

e la luna diviene una cariata

lamina di gelo sull’acqua.

 

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